Papa Francesco

"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco

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martedì 30 luglio 2019

VUT 1: Facciamo un gioco (30 luglio 2019)

(VUT=sigla per VIAGGIO UNIVERSITARIO IN TANZANIA)

Siamo ancora a Bologna. Prendiamo l'aeroporto, un aereo, un biglietto, un futuro sorprendente. Lasciamo a terra i parenti, l'afa, un po di impegni datati e le cose che restano indietro.


Partiamo. Negli aeroporti le persone godono della medesima condizione di passeggeri, passanti di strisce zebrate nel celeste impero delle nubi. Essere bianchi non è colore di pelle qua dentro. Siamo nuvole in transito. Ma niente temporali, per favore! Qui siamo parte di umanità. I temporali sono appannaggio di chi resta. Chi è fermo non comprende questo movimento di persone, di gente, di popoli. Si chiede soltanto se oggi pioverà o farà bel tempo. Teme il clima impazzito, anche se magari ha contribuito a crearlo. Lo stesso sentimento è verso chi migra altrove: non ci interessano, purché non portino cattivo tempo, che tradotto significa nient'altro che STIANO A CASA LORO OPPURE TRANSITINO ALTROVE. NON QUI. Chi è fermo non vuole essere disturbato dalla migrazione impazzita (così pensa), anche se magari pure lui ha contribuito a crearla. Circa un secolo fa Boccioni dipinse due volte il trittico base di ogni rivoluzione: quelli che vanno, quelli che restano, gli addii.
La parola politica di chi è fermo al presente (non all'Italia e ai popoli che ci vivono, sia chiaro ma al mero istantaneo presente dell'Italia, ben suddiviso, parcellizzato, sezionato) è questo NON QUI, NON LORO,  NON ORA. Il MA che ne segue è puramente ipotetico, detto e promesso ma scarsamente verificato: AIUTIAMOLI A CASA LORO, PRIMA GLI ITALIANI, LE PRIORITÀ SONO ALTRE. Cambia il clima, migrano i popoli, ma chi è fermo non comprende il carattere umano, relazionale delle nubi.
Le nubi sono un gioco inutile per chi è fermo, pulviscolo denso che si sposta, fa ombra, ti piove addosso. Per Mosè ed il popolo era il modo di incontrare Dio. E dalla nube c è pure caduto addosso il giusto, colui che dona, il vivente.

In aeroporto, dentro quello di Istanbul dove mi trovo di passaggio, inizio a viaggiare. Una nube passeggera necessita di piovere e cerco una toilette. In bagno mi lavo le mani, il getto dell'aria per asciugarle è talmente forte che ne deforma la pelle. Per qualche breve istante, senza sofferenze, acquisto la possibilità di vedermi in modo inedito questi miei arti che fin troppo sono disabituato a osservare nei mille modi che mi servono quotidianamente: apro un libro, mescolo il sugo, copro gli occhi dal sole, pago la spesa, scrivo, afferro, carezzo. Non ci faccio più caso come sono le mie mani mentre compiono questi gesti: incontrarle in questo modo inedito, afferrarle come nuove con lo sguardo, è un dono festivo, non feriale.

Osservo le persone che mentre sostano compiono gesti, gesti quotidiani, beninteso, consueti, abitudinari, ma sono tutti gesti che sotto questo vento nuovo sembrano sorprendenti come l'umanità stessa. Un nuovo soffio di porte scorrevoli che si aprono e danno accesso a viaggi, pellegrini di desiderio che aspirano una meta religiosa, o anche solo abbracciare qualcuno amato. Appena adesso mi è passato davanti un papà asiatico che seguiva il figlio con il suo cellulare per farne una ripresa, ma più attento ai passi del piccolo che ai fotogrammi dello schermo. Sulla moquette scivolava una pallina che il bimbi aveva lanciato e che inseguiva con le braccia leggermente aperte. Si è poi bloccato: l'urlo di uno stewart al gate vicino sembra averlo spaventato. Si è voltato, ha guardato il padre, il volto identico come quando era partito: non era lui la fonte sanzionatoria di quel grido. E poi ha ripreso a correre nel suo viaggio, con scorta al seguito.

Veder sorridere i volti, comunicare, anche se a volte siamo impacciati, essere seduti a fianco di coloro che prima non si conoscevano, e parlare: la proposta del viaggio universitario. Che cos'è conoscere? Molti partono in viaggi come il nostro per necessità di voler fare qualcosa per gli altri. Poi tornano e dicono: è più quello che ho ricevuto di quello che ho dato. Un viaggio però non è una proporzione. Quanto faccio io, quanti fai tu. Conoscere significa eccedere dalla regola parziale, ben oltre quel razionare con la mente le parti e darne il giusto peso. Conoscere è più efficace in viaggio, perché ci sregola dal nostro essere fermi, avendo lo statuto delle nubi. Se poi si impara a viaggiare scopriremo aeroporti e cieli anche dentro quelli che chiamiamo nostri confini. E dunque eccedere e desiderare di conoscere in modo sconfinato. E si entra così nella nube. Dell'umanità, del Dio (col volto che la nostra storia ci farà conoscere).
Cari ragazzi, ecco il viaggio che abbiamo iniziato, per dirla con don Contiero, per SPROVINCIALIZZARE L'UNIVERSITÀ.

Facciamo un gioco: diventiamo nubi per un po'.

d.onde

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