POSA A TERRA I TUOI PASSI viaggio di uno dei dodici
POSA A TERRA I TUOI PASSI
viaggio di uno dei dodici
I
È successo davvero? Hanno davvero avuto il coraggio di dirmi quelle cose?
Che il maestro si sarebbe presentato proprio quando io ero assente!
Io c'ero quando abbiamo spinto la pietra fino a farla rotolare davanti all'ingresso del sepolcro.
E lo avrebbero incontrato dentro la stanza? A porte chiuse?
Mi vogliono prendere in giro? Sono l'unico stupido al mondo?
E Simone che pure ha il coraggio di rispondermi.
“Non pensiamo che tu non sia degno di rivedere vivo il maestro.”
Però lo ha detto. Lo pensano.
Ormai mi mette le mani addosso quando gli ho rinfacciato la sua lealtà mentre il maestro era sotto processo da Caifa.
Ho fatto bene a lasciarli. Non potevo rimanere lì dentro.
Dunque è questo che pensavano di me?
Meglio fuori. Eccomi sulla strada.
Queste vie sono stretti fiumi che non conoscono siccità di persone.
Pensano che io non mi sia consumato nel pianto? Anzi, più di loro.
Là dentro parlano, parlano e a forza di ripetersi finiscono per pensare che sia tutto vero. Anche le nostre donne da questa mattina non raccontano altro.
Tutti lo hanno visto, tranne me! Si vede che non ho sofferto abbastanza!
perchè il maestro è…
Neanche riesco a dire quella parola nella mia mente.
Quante persone ancora in strada al tramonto.
Seguo la folla, da qui passano tanti che vanno alla vasca di Siloe.
Mi stanno urtando, mi trattengo a fatica, vorrei prendere qualcuno a pugni.
Respira, Tommaso, respira.
me lo ripeto di continuo. E non devo pensare alla faccia di Simone.
Sembrava un folle quando si consolava stamane della tomba vuota.
“Non è là dentro, non è la dentro!”
Dove vuoi che sia? Gliel’ho detto: un corpo può sparire da una tomba, ma la morte non può sparire da un corpo.
E mi rinfaccia la fede. Ma cosa dice? Pensa che non mi fidassi del maestro?
Respira, Tommaso, respira.
Simone non capisce? Dunque il nostro maestro Gesù sarebbe morto per finta, mentre noi eravamo davvero disperati? Se è così, non lo sopporto.
E non sopporto neanche tutti loro.
Io, il solo a non averlo incontrato, sarei dovuto rimanere lì?
Dove sto andando? Si scende ancora per di qua.
Basta farsi trasportare da questa gente che non sa nulla.
Sono una foglia caduta nel fiume.
Magari mi aiutano a dimenticare! Magari scompaio nel fondo.
Ecco si scende di qua: la vasca di Siloe non è lontana, ancora due passi.
Sono stanco. Mi fermo qui. Ho bisogno di chiudere gli occhi. Ormai è notte.
II
Ho dormito così a lungo? È l'alba.
Non mi ero accorto: sono vicino alla porta delle acque.
Guarda quanto traffico di gente attraverso questa feritoia che si apre sulle mura di Gerusalemme.
La piscina è famosa anche lontano da questa città.
Tutti gli israeliti conoscono la storia della sua origine miracolosa.
Una fonte d'acqua scaturita dove non doveva, arrivata qui per volontà di Dio.
Qui si viene per la festa delle Capanne.
Qui anche il nostro maestro ha compiuto la guarigione di un cieco nato.
E questa gente non fa che arrivare e dare verità a a ognuna di queste storie!
Ma almeno hanno una speranza in mezzo alle loro sofferenze.
Io ho solo il silenzio. E queste voci nella mente che non cessano mai.
Forse uno dei demoni che il nostro maestro ha scacciato, è venuto a riempirmi la testa!
È davvero bello questo specchio d'acqua. Ancora la gente non entra e la superficie è così perfetta. È il cielo senza nuvole sopra di noi sceso in terra.
Eccola là, la tenda per potere fare un bagno con più tranquillità.
Non siamo in tanti a quest’ora, l’acqua è ancora fredda, ed i malati attendono almeno il mezzodì. Ho qualche spicciolo per il povero custode che sorveglia vesti e sandali.
L'acqua non è molto alta voglio però immergermi completamente.
Mi lascerò cadere all’indietro. Mi lascerò andare. Magari muoio anche io senza accorgermene.
“Attenzione!” sento dire. Ho urtato un anziano vicino a me, di spalle non potevo vederlo.
Mi rialzo, spero non si arrabbi, non voglio risvegliare la mia collera come ieri.
Mi volto. Ce l'ho di fronte.
Quanti anni avrà? Ora non sono più le acque, ma è questo suo corpo a farmi da specchio.
È magro, la pelle del torace è segnata come un campo arato, come una tenda senza più picchetti a tenerla in tensione.
La lunga barba gli copre il collo e le labbra sembrano una ferita non rimarginata.
I capelli gli fanno da corona attorno al capo, la testa è liscia e abbronzata.
Incrocio i suoi occhi, voglio capire il suo umore.
Tiene le palpebre strette, quasi tema la luce.
Le sue orbite sembrano tane, non ci abitano lupi, perché esce uno sguardo che mi sorride e mi accoglie.
Iniziamo a dialogare. Questa chiacchierata inizia a darmi fiato e finalmente respiro.
Usciamo dall’acqua, ci asciughiamo sotto la tenda prima di riprendere le nostre vesti.
Abbiamo tempo di conoscerci.
È un pescatore, o meglio lo era. I suoi figli stanno continuando il suo mestiere.
È venuto in pellegrinaggio a Gerusalemme per la pasqua.
Ancora qualche giorno e tornerà da sua moglie.
Ha molti racconti del mare. Lo ascolto volentieri. Io parlo poco perché non voglio rattristare questo momento, gli racconto solo che ho perduto una cara persona il giorno prima della Pasqua.
Sto bene per la prima volta da quando è successo …quello che è successo.
Quel poco che aveva di pane lo abbiamo condiviso in due per il pranzo.
Stiamo facendo la stessa strada?
“No!” gli rispondo “Ma farei volentieri una parte della tua.”
Lui si fermerà per la notte non lontano da Gerusalemme a casa di un suo parente.
Io lo accompagnerò per una parte, almeno finchè sarò sicuro di riuscire a rientrare prima del tramonto definitivo. La giornata è trascorsa quasi tutta.
Mentre camminiamo raccoglie da terra alcuni sassi: li porterà sulla tomba dei suoi genitori e di quelli della moglie. Li raccoglie in un panno che lei gli ha dato.
Vedo che il sole volge al termine ed io non posso proseguire oltre.
“Potresti fermarti con noi per la notte!” No! voglio tornare: ho troppe cose in sospeso a Gerusalemme. Molte cose che debbo ancora cercare e trovare.
Mi abbraccia, mi dice addio.
“Buona strada fratello mio!”.
“Il Signore benedica le tue vie!”.
Si volta quando siamo ancora a pochi passi l'uno dall'altro.
“Non pensarci troppo, occorre tempo. Forse devi ancora imparare il modo giusto per dire addio a questo tuo maestro.”
Sono già alla porta delle acque. Potrei risalire dagli altri dieci, ma la casa mi sembra così lontana e il mio cuore una zavorra di pietra! Mi stendo qui, tra gli altri pellegrini. Loro non mi faranno domande.
III
Difficile non svegliarsi presto se si dorme fuori. Il sole è sfacciato e ti si butta addosso come questi che mi passano sopra per arrivare alla piscina.
Forse non è stata una buona idea dormire tra questi alberelli che circondano Siloe.
Non ce l'ho fatta a rientrare dagli altri ieri. Magari stasera ci penserò.
Oggi andrò fuori le mura, voglio tornare a vedere il luogo sotto il monte degli ulivi.
Non sono trascorsi molti giorni, forse trovo ancora le tracce del nostro ultimo passaggio.
Sto guardando a queste acque davanti a me come un tempo ammiravo la bellezza dell’arte del tempio.
Ma sto perdendo tempo, meglio partire perchè è già molto caldo.
Esco rapidamente dalla città. Le mura alla mia sinistra hanno un'ombra così avara, neanche una capra potrebbe trovare ristoro!
Chissà se si stanno chiedendo dove sono finito.
Gli altri sono accucciati come bestie in quella tana.
Faccio fatica a stare in quel posto, perchè è l'ultimo luogo di vita del maestro.
Là dentro ora si fa commercio di annunci.
Come disse una volta nel tempio? “Una spelonca di ladri!”
Ecco come lo stanno riducendo.
Si raccontano belle notizie perché non vogliono dire la verità.
La verità è che hanno paura. Che la morte del maestro li sta terrorizzando.
Sono l’unico che ha il coraggio di uscire allo scoperto.
Tanto ormai di cosa dovrei avere paura? Chi dovrei temere?
I miei compagni? Se sto là dentro mi riempiono la testa delle loro visioni.
I capi o i romani? Se sto qui fuori al massimo devo correre e scappare, e se mi prendono, si vedrà. Non mi importa.
O dovrei temere il maestro Gesù che appare?
Hanno da dirsi molte cose, Simone, Giacomo, Giovanni, Andrea e tutti gli altri.
Che lo hanno visto due sere fa.
Uscio serrato, nessuno ha bussato, lui che sta in mezzo a loro.
Tutto intero, anima e corpo, piantato lì in mezzo.
Chissà cosa crescerà da questo seme?
Sto delirando? Deve essere questo sole!
Come è difficile tenere insieme i pezzi.
Ma io non mi lascio prendere in giro.
Lo hanno visto! Si, certo che lo hanno visto.
Lo vedono sempre quando non ci sono io.
Quando lui era presente, le cose non andavano così.
Forse era la sua presenza che teneva insieme tutti noi.
Ora ci sbraniamo a forza di visioni.
Quelli l’hanno visto per strada e ci hanno mangiato insieme.
Le donne, che stava girando per il giardino.
Gli altri l’hanno visto in casa.
Chi ha visto angeli, chi ha visto lui.
Chi giura che era lui ma non come lo abbiamo conosciuto qui.
Chi non lo riconosceva finchè non li ha chiamati per nome.
Anche io l'ho visto: l’ho visto morto.
Ma ormai che senso ha?
Dove sono arrivato? Eccomi al bivio.
Se prendo la porta d'oro salgo al tempio, se risalgo alla mia destra posso raggiungere gli ulivi.
Andrò di qua. Resto fuori. Non rientro in città.
Questa città non sa nulla, la nostra storia gli interessa come quella delle formiche all’albero sul quale vivono.
Eccomi tra gli alberi. Non camminano. Mi siedo qui.
Un tempo mi raccontarono di una barca che aveva perso il timone.
I pescatori a bordo tentarono di darle una direzione, ma era tutto inutile.
Così prima di allontanarsi troppo dalla costa, decisero di buttarsi in mare e nuotare fino alla riva. Di tutti loro se ne salvarono solo due, uno dei quali mi raccontò la storia.
E mi disse che alla sera di quello stesso giorno, mentre venivano soccorsi sulla sabbia, giunse a riva anche la barca svuotata, accompagnata dalle correnti.
Bastava attendere. Si sarebbero salvati? oppure con il loro peso la nave avrebbe conosciuto rotte mortali in mare aperto?
Ma a cosa sto pensando? Sono confuso.
Mi sono smarrito? No! Ecco i primi olivi.
Già cala il sole. Eravamo proprio qui. Provo a riposarmi.
Non è che non voglio credere ai miei compagni.
Soltanto non voglio che seppelliscano il mio Gesù sotto tutte queste strane apparizioni!
IV
Mi risveglio che è ancora notte.
La luna sta calando, ma la luce è sufficiente e permette agli olivi di distendersi a terra con le ombre e riposarsi.
Guardo a questa radura tra gli alberi e cerco di immaginare.
Mi sto facendo del male. Devo ricordarmi come eravamo posti tutti noi.
Noi qui, luì poco oltre con i quattro. Da qui riuscivo a vederlo.
Dormivamo storditi dalla paura. Il maestro ci aveva detto a cena molte cose.
Una l'avevamo capita bene: che stava per lasciarci.
Come, ancora non lo capivamo. Avevamo paura anche a parlarne tra noi.
Ricordo la mia domanda. La sua risposta.
Ma alla fine non ho capito quale strada dovevamo prendere.
Tra noi borbottavamo. Il nostro cassiere era uscito per fare spese.
Poi invece tutt'altro. Se lo avessi accompagnato quella sera!
Magari non sarebbero andate così le cose.
Io non sono uno che ha le preghiere a fior di pelle, Signore lo sai!
Ma perchè hai lasciato che venissero a prenderlo?
Non mi sembra ancora vero che sia successo tutto realmente.
Lui era lì steso, parlava, gridava, pregava.
Gli altri erano stesi. Io camminavo in direzione opposta a tutti loro.
Cosa accadde? Arrivarono le guardie.
Mi bastò fermarmi dietro un olivo e guardare.
Quando tutto fu finito, mi trovai da solo in questo bosco oscuro.
Ero un albero anche io, non riuscivo a muovermi, proprio come ora.
Signore, perchè hai lasciato che questo avvenisse?
Non era un giusto tuo servo il nostro maestro?
Se gli altri mi avessero ascoltato. Se mi avessero dato ragione.
Quella sera non dovevamo uscire. Lui sarebbe ancora qui.
E ora è morto.
Si! È morto.
Del rumore, qualcuno mi ha seguito?
Mi accorgo che una coppia di giovani sta venendo qui per appartarsi.
Non mi hanno visto. Farò piano, non voglio che si accorgano di me.
Me ne andrò come un ladro.
V
Ancora una notte fuori. Questo pastore è stato gentile. Potrò dormire tra le sue pecore. Al calore non importa l’odore.
I pastori non dormono mai del tutto.
Non li lasciano entrare per la notte dentro la città e devono sempre sorvegliare il gregge.
Di solito sono sospettosi, e poi tutti dicono di non fidarsi di loro.
Quando ci sono loro che girano in città puoi stare certo che dalle case scompaiono gli ori e i cani.
Ma questo pastore è stato gentile.
Mi sono avvicinato al suo fuoco per scaldarmi e abbiamo iniziato a parlare.
Mi ha offerto gli avanzi di un capretto cotto alla brace e del pane.
Vende bestiame per i sacrifici, e vicino alle grandi feste i suoi affari sono migliori. Questo è il secondo viaggio che fa in una settimana. Non gli ho detto nulla della mia storia.
“Che ci fai qua fuori?” Semplicemente non rispondo.
Lodo il suo bestiame e questo prezzo è sufficiente per cambiare discorso.
I suoi figli domani lo raggiungeranno ed andranno insieme al mercato delle bestie.
“Magari potresti iniziare a lavorare con me!”
Sembra una buona offerta: potrei iniziare una vita cancellando del tutto il mio passato.
“Potresti diventare un pastore, se non sei contento di quello che sei adesso!”
Giusto! Chi saprebbe la mia storia?
La mia fiducia nel maestro, la sua verso di me quando mi ha scelto. Le sue parole che rimarginavano ferite, curavano i miei timori, toglievano la sete ai miei dubbi. Quanto ho toccato con mano l'avvento di una nuova umanità con lui!
Chi saprebbe tutta questa mia vita?
Io. Io lo saprei. E non riuscirei ad allontanarmi mai abbastanza da me stesso. Non riuscirei mai a dimenticare.
Credo che il pastore abbia bisogno di riposarsi ancora.
Qualche ora l'abbiamo, provo a dormire anch’io.
Alla mattina puzzo di pecora. Saluto il pastore.
“Hai pensato a cosa vuoi essere?” Ancora me lo chiede.
Senza rispondere mi allontano.
Vado alla vasca di Betsata, qui è pieno di malati.
Che faccio? Aspetto che le acque tremino?
Mi viene da sorridere, ma qui sono tutti ostinatamente seri.
Non si scherza con le malattie, non ci si prende gioco di chi è incerto della propria vita.
Ma almeno di me stesso posso prendermi in giro, no?
Mi assolvo da solo e sorrido ancora.
Entro in acqua con la mia veste, anche lei ha bisogno di purificarsi un po’.
Poi mi asciugherò al sole del mezzogiorno.
Mi siedo al bordo della vasca, sui gradini che salgono e scendono di continuo.
Eccomi, vicino c'è questa donna.
Faccio per scostarmi, lei mi guarda e con la testa mi fa capire che non c'è bisogno.
È sola. Ha un viso segnato. Era lebbrosa, ora è guarita. Ma chi la prenderebbe ancora in casa? In mezzo a tutta quella gente malata che arriva, lei si sente quasi normale.
Non so cosa dire. Chiedo come è successo che sia guarita.
Un profeta che girava nel nord, un giorno l'ha incontrato.
C'era tanta folla con lui, ma quando la videro solo il profeta si fece avanti.
Camminava verso di lei, le parlò del perdono, si ritrovò guarita.
“Ma i segni sono rimasti. Sono venuta a Gerusalemme per il libello di purificazione.”
A cosa le serviva? Non aveva più dove andare. Qui rimase.
Sta parlando del mio maestro.
Non so perchè ho uno scatto, è come se questa donna mi avesse buttato addosso un macigno.
Mi alzo, scappo via da lì.
Non ricordo che il maestro abbia compiuto anche questo segno.
È sempre la stessa cosa però.
Quante volte gli ho detto che non si poteva procedere a salti.
Non si può camminare a salti.
Gli ho sempre detto questo, quando era con noi.
Guarda questa donna: come vivrà il resto dei suoi giorni?
Sarei corso con lui dall’amico Lazzaro anche col rischio di farsi uccidere dai capi e dalle guardie che già ci sorvegliavano.
Ma quando guariva qualcuno glielo ripetevo: non si può saltare il corso della natura.
“Abbiamo noi discepoli questo potere? Tu sarai sempre con noi?
Come faremo quando non sapremo fare quello che tu fai?”
E poi le conseguenze mai del tutto prevedibili.
Guarda cosa succede a questa donna, adesso!
Cammino in fretta, senza pensarci troppo: le mura alla mia sinistra, il sole sopra di me. Spero di trovare qualcosa da mangiare più tardi.
Non voglio più pensare a questa donna: con tutto il peso che mi porta dovrei pensare anche a lei?
VI
Ho preso la strada per la porta dei pesci.
Sto camminando e oltre le mura svettano le torri della fortezza Antonia.
Gli invasori romani controllano ogni cosa, e la loro violenza giustifica tante violenze.
I nostri capi hanno capito che era meglio adeguarsi e sono riusciti a rosicchiare un po’ di potere, come un topolino nel legno per aprirsi un varco dove scappare.
Ma tutta la gente pensa la stessa cosa: prima o poi qualche ribellione passerà il segno ed i romani metteranno fine al nostro regno.
I sacerdoti, gli scribi ed il re: sono sicuro di quello che pensano.
Se finisce il regno, allora finisce anche il potere del Signore.
Senza un regno quaggiù che Dio sarebbe il nostro Dio che aveva scelto Israele, e prima di lui Isacco, e ancora prima il nostro padre Abramo?
Questo è il loro modo di ragionare.
Quanta poca saggezza nei nostri capi!
Il maestro Gesù ci aveva insegnato bene quale fosse il potere di Dio.
E il nostro posto sulla terra. Misericordia. Essere amati.
Non abbiamo paura dei confini, perchè i primi a superarli eravamo noi con lui.
Non è il potere dei romani quello a cui aspirare.
neppure che il Signore abbia bisogno di chi lo difenda.
Le persone capivano bene Gesù, su questo.
Allora perché la condanna e la vergogna della croce?
È stato un incidente lungo la strada che il maestro percorreva?
Oppure un tentativo di insurrezione che noi non abbiamo capito?
È questo che non riesco a comprendere.
Dovrei essere più o meno all'altezza delle miniere di Salomone.
Tra poco sarò alla porta dei pesci e lì dovrò prendere una decisione: andare o restare?
E se non riuscirò a prenderla subito, passerò la notte sulla strada che porta a Sichem.
Dicono che sia rischioso dormire vicino alle strade.
Ma in fondo anche il mio maestro Gesù è morto fuori le mura.
Almeno in questo sarei trovato simile a lui.
VII
Mi sveglio. Sono ancora qui.
Il Signore mi ha custodito tutta la notte.
Nessuno mi ha picchiato. Nessuno mi ha ucciso.
Ma cosa vuol dire? Che sono il giusto protetto sempre da Dio?
E allora il mio maestro? Lui non era forse un giusto?
Ogni tanto mi viene un dubbio.
Io, che mi metto sempre dalla parte di coloro che sono giusti.
E se fossi anche io un carnefice?
È tutta colpa dei capi e dei romani per quello che è successo al maestro?
Solo Simone e gli altri lo hanno tradito?
Solo Giuda ha dato il bacio al maestro in mezzo agli ulivi?
Non c'ero forse anche io che guardavo?
Veramente: non sono uno dei soldati anche io?
Non sono anche io uno dei carnefici?
Silenzio, Tommaso. Silenzio o finirai per impazzire.
Ecco, da qui non è lontano il luogo dove i romani crocifiggono i condannati.
Voglio tornare a vedere.
Non manca molto. Spero non ci siano appesi oggi!
Si! Vedo la collina con sopra i pali piantati.
Nessuna condanna in corso oggi. Ma resterò qui.
È una giusta distanza questa per fermarmi e pensare un po’.
Tommaso, aspetta!
Che penso? Una giusta distanza?
È così che penso di mettermi a posto la coscienza con questi avvenimenti?
Con il maestro? Con gli altri?
Perché una cosa è certa: o trovo un modo per comprendere tutto questo, oppure è per me meglio morire!
Ho deciso: salirò di nuovo alle croci!
C’è qualcuno vicino ai pali. La terra qui intorno è battuta, neanche un po’ di erba o qualche cespuglio verde. Alcune macchie scure rivelano in fretta la loro natura.
Forse un po’ di questo sangue è anche del mio maestro.
Se tu fossi qui davanti! Se mi apparissi come sei apparso agli altri!
Metti le mani nelle mie piaghe! Questo ti direi.
Guarda come mi hai lasciato.
Ti rendi conto di quanto sto soffrendo?
E mi sembra che nulla abbia un senso, un significato.
Questo mio dolore: lo vuoi conoscere si o no?
Hai toccato e guarito tante persone. Abbiamo gioito tutti insieme.
Ora metti le tue mani su questo mio volto.
Metti le tue mani nelle mie lacrime.
Apri la bocca e metti le mie grida nelle tue grida.
Perché questi si avvicinano? Cosa vogliono? Chi sono?
Mi stanno allontanando. Mi chiedono perché sto gridando.
Non rispondo, non reagisco.
Raccolgo tutte le mie ferite e mi stringo forte le braccia, l'una all'altra, da gomito a gomito.
Mi volto e scendo dalla collina.
Sono sfinito. Da molto che non mangio.
Là alcuni alberi. mi siedo sotto questo arbusto e aspetterò che accada qualcosa.
VIII
Qualcuno mi sta parlando, mi scuote le braccia.
È una bambina. Alzo lo sguardo e poco lontano due giovani, un uomo e una donna.
Mi metto seduto. La ragazzina ha dell'acqua e del pane.
Guarda ai due giovani. L'uomo le fa cenno con le braccia.
Allora lei me li offre senza dire nulla.
Mi guarda con due occhi spalancati. Ha un po’ di timore, ma quelli là dietro la rassicurano con la loro presenza. Devono essere i suoi genitori.
Mangio e bevo. Avevo fame e sete.
“Grazie!” dico alla bimba.
Ancora una notte dove le tenebre mi hanno sorpreso e mi hanno fatto da sonno e da letto!
I genitori si avvicinano. Si siedono con me e mi raccontano che stamattina presto la loro figlia mi aveva visto. Non ero morto, Respiravo.
Lo aveva raccontato loro e hanno deciso di soccorrermi.
Vivono appena dentro le mura, nella zona delle nuove case di Gerusalemme.
Li seguo: in fondo dove potrei andare?
Sono certo di puzzare un bel po’, la ragazzina non manca di farmelo notare con le sue smorfie, mentre la madre con i suoi gesti le chiede di tacere.
Insistono perché io resti almeno a consumare il pasto.
Sono troppo stanco per non acconsentire.
Il padre resta con me, oggi è libero dal lavoro alla fortezza.
Non sono ebrei, ma vengono dalla costa chiamati da alcuni loro amici.
I romani cercano lavoratori che non siano giudei in modo da avere qualcuno che lavori per loro anche nei giorni di sabato e delle feste.
La loro figlia è nata qui.
Dai particolari nella casa vedo che credono negli idoli delle genti.
Ma cosa cambia? Mi stanno dimostrando accoglienza, e Dio non potrà che benedirli.
Rientra la moglie, ha comprato carne e verdure e li cuoce per me.
Mi sento imbarazzato. Davvero non so cosa dire.
“Il perdono!” dice lei.
Cosa? Non capisco?
“Anche se non siamo ebrei, il perdono è richiesto alla nostra pietà.”
Dice lui. Mi spiegano che stanno restituendo qualcosa che hanno ricevuto.
In passato erano in lite con i loro genitori.
Non volevano che lasciassero la casa per venire a Gerusalemme.
La rabbia li guidava fino a togliersi la parola tra loro.
Giunse il tempo della partenza. Un loro zio, saputa la vicenda, ingannò tutti quanti.
Fece sì che tutti loro si trovassero al medesimo momento gli uni ad un incrocio di strade, gli altri non lontano. Ma in modo che non si incontrassero.
Poi inviò due servi, spaventati e agitati. Il loro parente era stato aggredito non lontano da lì e stavano per sottrargli il bene più prezioso che recava con sé per donarlo loro.
Gli uni da una direzione, gli altri dall'altra, raggiunsero contemporaneamente il medesimo boschetto indicato dai servi.
La loro meraviglia fu quando si incontrarono e si riconobbero.
In quel momento giunse anche il loro zio che li implorava di non farsi depredare dalla rabbia e di perdonarsi, altrimenti lui avrebbe perso il suo bene più prezioso, i suoi familiari.
“Quando nostra figlia ci ha raccontato di averti visto, ci è venuto in mente quanto avevamo vissuto e non potevamo non aiutarti!”.
Mi raccontarono anche che in seguito i loro genitori benedissero la loro partenza, e appena riescono cercano sempre di incontrarsi.
Quando questo avviene è per loro una festa.
Che sto facendo? Sto piangendo? Davvero?
Ormai i cibi sono pronti, mi scuso ma devo fare in fretta.
Devo correre da alcune persone che ho lasciato senza saluto.
“Ma tornerò.”
Faccio questa promessa prima a me stesso che a loro.
Per la loro gratitudine. Per il loro perdono. Benedici queste persone Signore, ti prego!
Non me ne rendo conto ma sto correndo.
Rallento quando passo vicino al tempio: le guardie potrebbero pensare male.
Poi riprendo a correre. Qualche persona l'avrò urtata.
Mi giudicheranno come un ladro, ma non mi importa nulla.
Eccomi alla casa. Entro e salgo al piano superiore.
Gli altri mi vedono. Non diciamo parole.
Solo gioia e braccia. Poi l'olfatto riprende il sopravvento.
Devo avere cura di me.
Scendo a lavarmi ai bagni rituali, non lontani da qui.
Rientro prima che tramonti il sole.
“Sarai stanco!” È Simone che parla.
Con una mano sulla spalla, mi accompagna dove possa stendermi.
Mi lasciano dormire.
IX
Così tanto? Ho dormito dal tramonto all'alba?
“E anche russato!” dice Andrea.
Tutti ridono. Anche io con loro.
Nessuno mi parla più del fatto accaduto otto giorni fa.
Neanche io l’ho rievocato. Ora voglio stare qui.
Ci penserò poi a conciliarmi con quei loro racconti.
Avevo lasciato indietro alcuni lavori in casa.
Volevo sistemare una cassa che tenevamo di sotto.
Farò questo oggi. Alla cena saremo tutti insieme di nuovo.
Il clima mi sembra cambiato.
Vedo che adesso escono e hanno meno paure di chi potrebbero incontrare.
Forse la mia assenza è servita a farli rinsavire? Vedremo.
Mi concentro sul lavoro, le ore scorrono più sopportabili.
Mi accorgo che la luce diminuisce in casa.
Sta per arrivare la fine di questo giorno.
Vedo scendere Simone. Che ha?
Mamma mia se è pallido. “Sali con me!”
Lo seguo. Che succede? Non mi dice nulla.
Salita la scala trovo tutti gli altri in silenzio.
Sono davanti alla pesante porta in legno che sigilla la stanza dove abbiamo cenato per l'ultima volta con il maestro.
Che succede? Perchè nessuno parla?
Giovanni mette un dito sulle labbra.
Faccio silenzio, ma mi sto agitando se non capisco cosa vogliono.
Non sanno bene come dirmelo, ma comincio a capire.
Credono di averlo visto di nuovo? E dove?
Vedo che Giacomo è molto alterato. Lo guardo e mi esclama: “Il maestro è qui, vuole vederti!”
Faccio un passo indietro. Sento Simone che con la sua presenza mi blocca e mi sostiene allo stesso tempo.
Mi giro e lo guardo in faccia. Strano: è tranquillo!
Mi dice qualcosa.
Mi chiedo: finalmente saprò la verità?
Ma cosa sto cercando? Non sono sicuro di saperlo neppure io.
Pensavo di voler vedere anche io come gli altri.
Poi mi sono accorto che in realtà vorrei essere visto.
Ecco cosa vorrei.
Vorrei che il maestro mi guardasse di nuovo.
Che mi dimostri che tutto il mio dolore ha un senso.
Che se lui è vivente, devono essere reali anche le ferite che aveva come le mie che ho.
Ora mi sembra chiaro cosa gli chiederei.
Simone mi incalza. E cosa dovrei fare?
Guardo tutti i loro volti. Gli sguardi di tutti sono sopra di me.
Allora Simone mi dice semplicemente: “Attraversa la porta e passa dall'altra parte!”.
Capisco. È giusto. Se voglio scoprire, devo posare i miei passi sulla terra, fino all’altra parte.
Uno dopo l’altro. Anche lentamente. Ma devo essere infine io a camminare.
Io devo muovere i miei passi.
Eccomi.
X
Un’altra notte è trascorsa. Non ho dormito molto, ma non mi pesa.
Simone è ancora preoccupato per me.
Da ieri sera mi sta vicino e vuole sapere come sto.
Lo rassicuro.
Non posso dargli molte spiegazioni.
Ieri sera ho incontrato la vita come non speravo più fosse possibile.
Niente che anche lui non sappia già.
E dunque cercherò di viverla.
“ricordati come gli ho risposto e capirai come sto!”
“Allora bene!” e mi sorride soddisfatto.
Devo allontanarmi in mattinata, meglio non mi attendano per il pranzo.
“Dove devi andare?”
Sono sicuro che teme io scompaia di nuovo.
Bisogna che si fidi.
Gli chiedo se la madre e le altre donne sarebbero disponibili ad accogliere qualcuno in casa con loro.
Mi risponde di si, anche se forse vorrebbero sapere qualcosa della persona che dovrebbero ospitare.
Gli dico che è una donna.
Anche lei ha incrociato le sue strade con quelle del nostro Signore.
Anche lei ha ricevuto un dono.
Anche lei è stata guarita e purificata da Gesù.
Non possono dire di no.
Mi chiede quale malattia la tenesse prigioniera.
Gli spiego che ormai ha già il libello dei sacerdoti del tempio.
“Lebbra? Vuoi dire una lebbrosa?”
Gli spiego che è guarita ormai. Ma nessuno la vuole.
È come una pecora senza pastore.
“Se il maestro l'aveva avvicinata quando era malata, non potremmo noi accoglierla adesso che è guarita?”
Simone ha un cuore grande, mi darà ragione.
Esco e mi incammino sperando di trovarla alla piscina di Betsata.
Eccola. Mi riconosce.
Le chiedo scusa per come ero fuggito alcuni giorni fa ma non aveva niente a che fare con la sua vecchia malattia.
Le spiego chi sono, perché sono tornato, chi era quel profeta che l'aveva guarita, dove sarebbe potuta andare per trovare una casa ed una famiglia.
È un po’ titubante. Non ha molto da perdere. Decide di accettare l’offerta.
“Bene! Soltanto prima di arrivare a destinazione devo passare a salutare una famiglia. Non abita lontano da qui. Seguimi!”
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