Papa Francesco

"Voi sapete, cari giovani universitari, che non si può vivere senza guardare le sfide, senza rispondere alle sfide. Colui che non guarda le sfide, che non risponde alle sfide, non vive. La vostra volontà e le vostre capacità, unite alla potenza dello Spirito Santo che abita in ciascuno di voi dal giorno del Battesimo, vi consentono di essere non spettatori, ma protagonisti degli accadimenti contemporanei. Per favore, non guardare la vita dal balcone! Mischiatevi lì, dove ci sono le sfide, che vi chiedono aiuto per portare avanti la vita, lo sviluppo, la lotta per la dignità delle persone, la lotta contro la povertà, la lotta per i valori, e tante lotte che troviamo ogni giorno." Papa Francesco

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venerdì 8 febbraio 2019

"Non odierò" (Izzeldin Abuelaish): Costruire strumenti di pace

Questa è una storia vera, la storia di un palestinese nato nel campo profughi di Jabalia, a Gaza, in una famiglia cacciata , come migliaia di altre famiglie palestinesi, dalla propria casa al momento della nascita dello Stato di Israele nel 1948. E’ la storia della tenacia di un uomo, della sua incrollabile fede nelle possibilità di costruire percorsi di pace anche in realtà tormentate come quelle di Israele e Palestina. E di una tenacia ancora più incredibile perché fortemente provata dalla vita.


Izzeldin, nato nel ’55, figlio primogenito di una famiglia numerosa, nove tra fratelli e sorelle, grazie al sostegno di borse di studio si laurea in medicina al Cairo, si specializza in ginecologia in diverse università straniere, lavora nell’ospedale israeliano Soroka a Beersheba e tiene un ambulatorio gratuito a Gaza. Sembrerebbe quasi una situazione normale, ma chi ha un minimo di conoscenza su che cosa voglia dire entrare ogni giorno da Gaza in Israele, sull’incertezza costante che caratterizza gli spostamenti dei palestinesi, su che cosa sia la vita in un campo profughi, ne coglie certamente le difficoltà.
Izzeldin dopo la laurea sposa Nadia, una ragazza palestinese conosciuta nello stesso campo profughi dove era cresciuto. Si specializza nella cura dell’infertilità proprio per aiutare le coppie ad avere figli, e vive la pratica medica come un’occasione per creare ponti di conoscenza e di stima con colleghi e pazienti, ebrei o palestinesi che siano.
La sua è una vita di successo professionale, approfondisce le sue conoscenze nelle migliori università, si specializza in sanità pubblica ad Harvard, e nel frattempo la sua famiglia si arricchisce di otto figli, vivono sempre a Gaza, anche se ormai fuori dal campo. Una vita sempre scandita dalle difficoltà di essere palestinese, quindi sottoposta all’incertezza, soprattutto in occasione delle reazioni alle diverse intifade, ma che non mette mai in discussione il fatto di prestare la sua opera sia a Gaza sia in Israele.
Una prima forte prova è nel 2008 la morte della moglie per leucemia, ma la tragedia più grande arriva il 16 gennaio del 2009, quando, nel corso dell’operazione “piombo fuso” granate israeliane colpiscono la camera da letto delle ragazze, uccidendo tre delle sue figlie, Bessan, Aya e Mayar. La foto che compare sulla copertina del libro le ritrae tutte e tre sulla spiaggia di Gaza in un pomeriggio del 12 dicembre 2008. Avevano tracciato i loro nomi sulla sabbia.
Sue le parole “Poi, nel gennaio 2009, ho perso tre figlie preziose e una nipote quando un carro armato israeliano ha colpito la mia casa a Gaza. Quando sono i tuoi figli a essere diventati un “danno collaterale” in un conflitto apparentemente senza fine, quando hai visto i loro corpi letteralmente fatti a pezzi e decapitati, le vite cancellate, come puoi non odiare? Come puoi evitare le collera? Io ho giurato di non odiare e di evitare la collera a causa della mia salda fede di musulmano… ma questo non significa non agire per correggere le ingiustizie”.
Instancabile Izzeldin lavora per costruire i suoi ponti, trasforma la sua rabbia nella ricerca costante, paziente, tenace, di strade per superare le generalizzazioni e le divisioni, nella ricerca di strumenti di conoscenza reciproca, di mezzi per vincere l’ignoranza e la rassegnazione, senza mai smettere di credere che la pace sia possibile.

(dal sito di Pax Christi)

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